Le melodie dei contadini
Se sappiamo qualcosa sulla cultura della musica popolare della Ciociaria (e nello specifico di Anagni) gran parte del merito va attribuito al musicologo e insegnante di storia della musica Luigi Colacicchi, che ha girato tutti i comuni della Ciociaria trascrivendo sui suoi "taccuini da campo" i canti popolari. Lo stesso Colacicchi scrive:
“In un popolo come questo il canto non può essere che modo di vita. Nei Ciociari il canto non risponde ad un’aspirazione al bello, ad una vaga inclinazione al decorativo, al voluttuario. Il canto è prima di tutto vita nelle sue espressioni più semplici. È la conseguenza diretta d’un moto dell’animo, espressione drammatica che scaturisce da un contrasto o da un assenso di sentimenti elementari. Talvolta ha addirittura uno scopo, serve a qualcosa.
Serve ad offendere la madre della fidanzata che ci ha abbandonato (nda La mamma del mio amore), ad annunciare al padrone la buona vendemmia (nda Accordo), a far chiedere la grazie al brigante condannato a morte, a far sapere quanto soffriamo alla donna che non si cura di noi (nda come nella canzone Me so ficcato na spina aglio core). L’amore, il dolore, il fascino della natura suscitano nell’animo del ciociaro echi limitati, di ragione pratica. Di rado il sentimento s’attarda a rimirare sè stesso, s’inebria del suo stesso sentire, invoca a sostenerlo nel suo incanto lirico sentimenti affini e limitrofi.
Il canto ciociaro non è dispersivo, ma concentrato. È un canto tutto cose, tutto sostanza. Aderisce ai sentimenti, ai fatti come un linguaggio semplice e sbrigativo. In fondo è un linguaggio stesso: un Gregoriano in dialetto. Non pochi sono anzi i suoi punti di contatto col dialetto ciociaro. I ciociari sono scarsi di parole: hanno, si dice, la parola difficile, nel senso di uno stento nell’espressione che è tutt’ora uno stato pieno di grazie e di sapore, pieno di fragilità. Il canto ciociaro è una musica racchiusa in bocca, come un fiore non aperto; musica condensata in nuclei melodici.”
Ma come suonavano questi canti?
Erano canti che si tramandavano oralmente ed erano eseguiti soprattutto durante il lavoro nei campi, per alleggerire il lavoro o per scandirne il ritmo. Spesso veniva chiamato un musicista che durante il raccolto cantava e suonava questi canti per intrattenere e veniva pagato come un lavoratore. Erano canti ad una voce, di solito senza accompagnamento da parte di uno strumento, ogni tanto solo con l'organetto: a volte un'altra voce rispondeva a "dispetto", cioè improvvisava un'altra strofa proprio a risposta della strofa precedente. E durante il lavoro, a volte, ci si fermava per ballare il saltarello e per cantare, in una grande festa collettiva, improvvisata sul momento, per poi riprendere a lavorare.
La forma musicale di queste canzoni era molto simile ai canti gregoriani, proprio perché nei primi anni del '900 l'unica musica che la gente comune poteva ascoltare era quella popolare o quella che si cantava durante la messa: non c'erano teatri in Ciociaria, all’epoca, e quindi non si aveva la possibilità di ascoltare altri generi musicali.
E cosa si cantava in queste canzoni?
Per lo più l'amore, anche se non come siamo abituati a sentirlo cantare, ma in un modo molto particolare. Il ciociaro, infatti, era una persona che non amava molto esternare i propri sentimenti in maniera plateale: era molto chiusa, diffidente, di poche parole. Pochi vocalizzi, un canto molto essenziale: ogni sillaba su ogni nota, semplice e diretto, come i ciociari appunto. Il canto ciociaro non manifesta il sentimento: questo il ciociaro lo tiene per sé. Il canto ciociaro esprime un dolore, un disagio legato alla situazione d'amore perché sono questi i canti che nascono da una vita legata alla povertà e alla terra.
Dopo vent'anni dalle prime interviste, Colacicchi provò nuovamente ad intervistare le stesse persone: quasi tutti avevano dimenticato quei canti antichi, oppure le ricordavano diversamente. Oggi, questi canti, sono quasi completamente dimenticati: un musica che non suona più, una voce che non sa più cantare, una valle muta, che ha perso la sua voce nel vento degli anni che scorrono veloci.
Gabriele D’Annunzio, in Terra vergine, scrive:
“Il canto di quella gente, abruzzese o ciociara in gran parte, angoscioso e tripudiante, grave e solenne allo stesso tempo, pareva far sussultare e fremere l’intero paesaggio d’attorno che lo ricettava. Era uno di quei canti in cui sembrava che tutta l’anima di un popolo si confondesse e si mescolasse con la stessa terra che lo aveva generato…”
Qui puoi ascoltare alcuni canti popolari:
All'acqua all'acqua
Traccia senza titolo
Saltarello
Stornello
Bona sera Madre Maria
Ninna Nanna D'Anagni